EUGENIO OCCORSIO

La Sace, l’agenzia pubblica per l’assicurazione dei crediti all’export, ha i conti in ordine. Ha chiuso l’esercizio 2010 con un utile netto di 409,8 milioni e un patrimonio netto di 6,3 miliardi, e le stime per il 2011 parlano di un bilancio altrettanto sano. Eppure paga per colpe non sue: «Automaticamente ogni volta che le agenzie di rating declassano l’Italia, anche la nostra valutazione», spiega Giovanni Castellaneta, che della Sace è presidente da due anni dopo una gloriosa carriera diplomatica culminata con la carica di ambasciatore a Washington (dopo Teheran, Mogadiscio, Canberra). Le conseguenze sono diaboliche. La Sace assicura i crediti che le banche concedono alle aziende per operazioni all’estero. Ma se il rating scende la polizza Sace costa di più, e va a finire che le piccole aziende non se la possono permettere. Dato che le banche a loro volta, specie con le aziende minori, non prestano soldi senza assicurazione, l’opportunità per l’impresa sfuma. Sono gli effetti a catena di una condizione di finanza pubblica negativa. «L’impatto sulla competitività della nostra offerta è inevitabile», commenta Castellaneta. «Eppure il calo dello spread determinato dall’azione del governo Monti è un dato positivo, e dimostra che il rating non sempre è una fotografia efficace dello stato di salute di un Paese nel suo complesso».
La Sace sta sviluppando molti strumenti in più rispetto alla sua natura originaria, per essere vicina alle piccole e medie imprese. Sul medio periodo l’idea è di diventare una vera finanziaria che presti direttamente fondi. Per ora sta lanciando una serie di servizi che si avvicinano a questa fattispecie. L’espansione di attività rispetto alla vocazione solo assicuratrice di crediti all’export, spiega Castellaneta, comporta che «ci candidiamo come partner finanziario di riferimento di tutte le imprese italiane, non solo quelle che operano sui mercati esteri. Negli ultimi anni aggiunge l’ambasciatore abbiamo ampliato le possibilità di accesso al credito anche per quelle imprese che operano esclusivamente sul mercato nazionale e hanno l’esigenza di reperire risorse per sostenere investimenti o capitale circolante. Abbiamo sperimentato una collaborazione con la Cassa Depositi e Prestiti per finanziare operazioni di export e ora lavoriamo per rendere ancora più incisiva quest’operatività».
Sui tratta di operazioni piccole e grandi. La Sace ha organizzato il finanziamento da 800 milioni, erogato materialmente dalla Cdp e da un pool di banche, che ha permesso alla Fincantieri di soddisfare un’importante commessa della Carnival. Un modello che adesso conta di estendere ad imprese di dimensioni molto minori. «Siamo poi entrati di recente nel mercato del factoring, intraprendendo iniziative per risolvere uno dei problemichiave di questa crisi, i ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione, che spesso costringono le piccole imprese addirittura ad uscire dal business. In virtù di una convenzione con Poste Italiane, i fornitori pubblici possono ora chiedere direttamente agli sportelli di BancoPosta dedicati alle imprese, l’attivazione di “Reverse factoring PA”, lo strumento finanziario sviluppato da Sace Fct per consentire lo smobilizzo prosoluto dei crediti, in anticipo o alla loro scadenza, previa la certificazione del credito da parte dell’ente debitore».
Anche le forme tradizionali di intervento della Sace sono in crescita. «Per quanto possa sembrare sorprendente, molto poche aziende, piccole o grandi, si assicuravano per il rischio politico. Invece tutte le storie che abbiamo visto in quest’ultimo anno, dalla Libia agli altri protagonisti della primavera araba, insegnano che questo rischio esiste, eccome. Non a caso c’è un aumento del 60% rispetto all’anno scorso di tali polizze, e questa quota è costituita per due terzi da piccole e medie imprese». La verità, aggiunge l’ambasciatore, è che non esiste operazione priva di rischio: «Il fatto che un Paese e le sue imprese non abbiano trascorsi di difficoltà nei pagamenti e abbiano dimostrato negli anni una buona capacità di tener fede agli impegni non garantisce di per sé la sicurezza dei propri affari. Quando si opera all’estero, non solo nei Paesi nordafricani, è sempre importante individuare, comprendere e valutare a 360 gradi i rischi di ogni tipo relativi alla controparte e al Paese di destinazione di export e investimenti».
Intanto prosegue l’apertura di nuove sedi per essere vicini alle realtà aziendali: in Italia il network si articola presso i distretti industriali più importanti (Verona, Torino, Milano, Firenze, ma anche Pesaro, Lucca, Modena, Monza e via dicendo): «Sempre più spesso le controparti che assicuriamo sono italiane, tanto che oggi il mercato nazionale è diventato il nostro primo “cliente” con 9 miliardi di crediti assicurati, seguito dalla Russia». Quanto all’estero, le sedi operative di Istanbul, Bucarest e Mumbai si sono aggiunte negli ultimi due anni a quelle di Mosca, San Paolo, Hong Kong e Johannesburg aperte fra il 2006 e il 2008. «Le frontiere del business dice Castellaneta si stanno allargando in questi anni di incerta congiuntura dai tradizionali mercati a molti Paesi emergenti, in cui l’espansione della classe media sta generando una crescente domanda di beni di consumo. Le imprese italiane stanno ridisegnando le rotte del loro export esplorando le opportunità di Paesi ad alto potenziale ma ancora poco battuti come Cile, Malesia, Africa subsahariana. Si tratta di mercati spesso lontani e complessi che offrono notevoli opportunità per i settori di eccellenza del made in Italy ma anche inevitabilmente dei rischi. D’altronde, se è vero che proprio la forte base manifatturiera, fatta per la grandissima parte di piccole e medie industrie, tiene in piedi l’Italia in questi anni di crisi, mi sembra prezioso il contributo di chi si adopera per facilitare il più possibile le esportazioni».